Napoli, ultimi giorni di agosto.

 

Ha fatto molto caldo questi ultimi giorni e a Napoli camminare sotto il sole era quasi impossibile. Ero in giro con una amica a cui ho fatto da cicerone ma ci siamo arrese all’impellente necessità di trovare un luogo fresco sotto il quale fermarci e riprendere una temperatura corporea accettabile.

 

Arriviamo alla villa comunale, proprio di fronte al mare. Ci sediamo sotto un albero, nei pressi di una fontana pubblica e Bulla inizia subito a rotolarsi nell’erba con grande soddisfazione. Dopo pochissimo arrivano dei ragazzini che di corsa si avvicinano alla fontana e ci si tuffano dentro.

 

La scena era incredibile! Quattro scugnizzi che giocavano a tuffarsi in una fontana pubblica, cose da inizio ‘900. Io ero incantata: queste scene, qui molto comuni, mi hanno sempre divertita moltissimo (e intenerita). Ad un certo punto un ragazzino prende un bastone di legno e iniziano a lanciarli da una arte all’altra della vasca, ed è proprio adesso che inizia il vero spettacolo.

 

 

Bulla inizia ad abbaiare, non c’era niente che desiderasse di più che andare lì e giocare con loro.

 

Io adoro chi trasgredisce le regole in modo creativo, gli animi liberi che sanno trasformare il senso di una realtà solo con la loro presenza. Bulla è così. Lei trasforma le cose più banali in situazioni eccezionali, proprio come quei ragazzini. La lascio andare, lei corre verso la fontana e in meno di due secondi si crea una sintonia incredibile. Inizia un gioco fatto di complicità e fiducia.

 

I ragazzini la invitano a prendere il bastone e lei ci prova con tutte le sue forze. A volte vincevano loro, a volte lei.

 

In questo teatro di trasgressioni e giochi, l’unica evidenzia era che tutti, ma proprio tutti i partecipanti si stavano divertendo come matti. I ragazzini ballavano in stile tribale, Bulla saltellava con loro, scodinzolando e con il cuore a mille tra tuffi, corse e strategie di problem solving (come faccio a prendermi quel bastone?).

 

C’era aria di rispetto, Bulla non gli avrebbe mai fatto nulla e tantomeno quei ragazzini a lei. A volte loro si fermavano e ragionavano quale altro gioco inventarsi e lei li guardava, compenetrata totalmente in quel gioco sfrenato.

 

Nessuno conosceva Bulla nè Bulla conosceva loro, ma questo non è importato. Erano degli esseri viventi che con una spontaneità velocissima avevano trovato un gioco comune in cui le regole condivise erano già comprese da tutti prima ancora di nascere. C’era sinergia e adattamento ai tempi e ai bisogni dell’altro. C’era una comunicazione fortissima, specie tra Bulla ed uno di questi ragazzini, sembravano intendersi alla perfezione.

 

Ho pensato che questi erano i giochi che si facevano prima, quando si avevano spazi larghi in cui giocare e tanti animali intorno all’uomo. Si condividevano esperienze e momenti di crescita. Mi stupisce come oggi sia tutto paradossalmente strutturato e che addirittura la relazione cane-uomo abbia bisogno di specialisti che aiutino a creare una condivisione che ha radici antiche e spontanee.

 

Siamo pieni di regole, di divieti, di etichette, di bon ton. Abbiamo creato una società in cui vedere bambini e cani che giocano spontaneamente sortisce una grande meraviglia e addirittura viene visto come una cosa irraggiungibile da molti proprietari che “Se fosse stato il mio cane avrebbe fatto sicuramente qualche guaio”. Siamo ad un punto in cui, senza controllo e senza regole, non sappiamo più comportarci.

 

“Devi conoscere perfettamente una materia prima di poter trasgredirne le regole”

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