Passeggiando per strada, mi capita di ascoltare frammenti di conversazioni di passanti e, quando i passanti sono accompagnati da un cane, spesso mi capita di carpire la parola “mamma” nelle conversazioni tra noi persone e i nostri cani.

 

E dai a mamma, andiamo!“, “Facciamo tardi a mamma, muoviti!“, “Non mangiarti quella schifezza a terra, a mamma“. Non so se è una inflessione nostra, di noi abitanti del sud Italia o anche al nord capita di sentire questo tipo di esclamazioni, ma so per certo che ovunque, da nord a sud, noi donne ci sentiamo le “mamme” dei nostri cani e dei nostri gatti.

 

Ma perché succede?

 

Perché questo atteggiamento è così tanto spontaneo e naturale in noi?

Amo parlare di questo argomento, perché mi dà la possibilità di contribuire alla diatriba che ormai da 60 anni, in Italia, viene discussa giornalmente: quella tra l’empatia e la scientificità

 

Negli anni 60 le persone empatiche venivano un po’ bistrattate, venivano etichettate come hippie ma il loro movimento, il messaggio animico incarnato nelle loro azioni, era forte e chiaro: anche se la scienza ancora non è arrivata a determinate evidenze, esiste qualcosa che unisce tutti, una cura, un amore universale che ci rende tutti responsabili del benessere di ogni creatura e ci rende interconnessi agli altri.

Istintivamente, chi era più sensibile sapeva che siamo tutt’uno, ma la scienza non aveva ancora modo di confermare questa intuizione, e così bistrattava “i fricchettoni”, accusandoli di umanizzare qualsiasi cosa.

E invece, 60 anni dopo, la scienza si trova ad avvalorare le intuizioni di chi ha dato peso al proprio sentire. E non sono nella relazione con gli animali, ma sono state ormai verificate tutte quelle sensazioni di connessione e condizionamento reciproco verso tutte forme di Natura.

E così, finalmente, anche la scienza può spiegare perché noi donne ci sentiamo “mamme” dei nostri cani e dei nostri gatti!

Sapevi che quando noi donne guardiamo una foto del nostro cane o del nostro gatto, il nostro cervello emette le stesse sostanze che emetterebbe se guardassimo la foto di nostro figlio o nostra figlia?

 

Produciamo esattamente le stesse quantità di ossitocina, l’ormone delle coccole e dell’amore materno.

Non solo! Si attivano anche le stesse aree cerebrali legate alle emozioni, alla ricompensa, al rapporto filiale e all’interazione sociale.

 

Cosa vuol dire tutto questo? Beh, significa davvero tante cose!

La prima che mi viene in mente è che c’è una vocina dentro di noi, una vocina colma di amore, di empatia, di accoglienza, che ci fa tanta paura.  Ed è tanto gentile, così tanto gentile che può accadere di sentirci quasi ridicoli se la esprimiamo. Eppure, questa vocina è la parte più profonda di noi, la parte “divina”, “la que sabe” come direbbe Pinkola Estés, l’autrice di “Donne che corrono con i lupi”. E’ quella parte antica che “sente” chiaramente che c’è abbastanza tempo, abbastanza energia, abbastanza amore per occuparci di noi stessi e degli altri con tenerezza. Al di fuori delle barriere di razza, genere, specie.

Vuole anche dire che abbiamo fatto confusione, per anni, tra le parole empatia e umanizzazione.

 

mamma

Riconoscere nell’altro emozioni profonde, riconoscere un legame d’amore, onorare la sua unicità ed i suoi sentimenti non vuol dire umanizzare. Vuol dire sentire il cuore dell’altro, vuol dire essere empatici.

Un’altra considerazione è che si può essere mamma anche senza partorire fisicamente qualcuno. E’ proprio l’atto di di cura amorevole a rendere “mamma” una “donna”.

E infine, tutto quello che abbiamo detto racconta che davvero avviene una reazione biochimica all’interno del nostro corpo. La quale ci porta a diventare, giorno dopo giorno, sempre più madri e sempre meno “proprietarie”.

 

Ora non c’è proprio scusa che tenga: cani e gatti sono, a tutti gli effetti, come dei figli!

 

FONTE: http://m.repubblica.it/mobile/r/sezioni/scienze/2014/10/03/news/il_cane_simile_a_un_figlio_lo_dice_il_cervello_delle_mamme-97254005

No Comments

Post A Comment